L’arte
della pesca accompagna l’uomo fin dagli albori della sua comparsa come specie. Le
antiche popolazioni e tribù, che si stabilirono sulle coste, trovarono una
preziosa fonte alimentare a cui attingere, raccogliendo, ad esempio, molluschi
e crostacei o pescando attivamente pesci e altri organismi marini che si
presentavano con grande abbondanza e varietà di specie; inoltre, da alcune
conchiglie e dalle vertebre dei pesci si ricavavano utensili vari. Anche le
spugne, particolari e primitivi animali marini, venivano raccolte e lavorate
per essere rese utili alla pulizia del corpo e degli ambienti domestici. Ancora
oggi alcune tribù ricavano dal mare la loro principale fonte di sussistenza
come, per fare qualche esempio, sull’isola di Lembata, in Indonesia, dove
gruppi di pescatori si recano a caccia di squali e cetacei con le loro piccole
imbarcazioni e i loro rudimentali arpioni sostenuti da un lungo e robusto fusto
di bambù. Altro esempio è la pesca del “palolo” (porzione matura deputata alla
riproduzione di vermi policheti appartenenti alla famiglia Eunicidae) praticata
da alcune popolazioni indigene delle coste del Pacifico, che conoscono alla
perfezione il periodo e le condizioni adatte
per la raccolta in mare di quest’altra preziosa fonte alimentare. Esempio
eclatante che riguarda in prima persona noi italiani e in particolare calabresi
e siciliani è la pesca al pesce spada, spesso definita “caccia” per la
particolare tecnica in cui la preda viene ricercata, inseguita e, infine, mortalmente
arpionata prima di essere issata a bordo dalle particolari e caratteristiche
imbarcazioni dello Stretto di Messina, che solcano in lungo e in largo le sue acque alla ricerca del “Pisci”, ormai da tempi immemorabili. Sulle alte
vedette delle grandi imbarcazioni sembrano ancora riecheggiare le antiche grida
in lingua greca (si riteneva, infatti, che il Pesce spada fosse in grado di
percepire la differenza tra greco e italiano e di inabissarsi, scomparendo per
sempre, al solo udire di una singola parola di quest’ultima lingua) che davano
fondamentali informazioni al pescatore che si trovava sulla passerella
(“lanzaturi”), pronto a veder apparire sotto di se la grande sagoma del pesce e a colpirlo
con un’abilità e precisione che solo anni di esperienza possono dare. Tale
pesca, anche se non più fruttuosa come prima, viene ancora praticata nello Stretto
e ogni equipaggio ha una precisa zona di mare assegnata, che è rimasta
fondamentalmente identica a quella di qualche secolo fa. Quando l’uomo
costruì i primi ami, questi erano molto rudimentali, fatti con le conchiglie
più dure o con le resistenti ossa di alcuni vertebrati; non erano
ricurvi come quelli di oggi e mancavano di ardiglione. Con il passare degli
anni l’uomo ha affinato sempre più la tecnica, con attrezzi sempre migliori e
che permettono maggiori catture, in quanto la possibilità di liberarsi del pesce
è sempre più bassa. Alcuni attrezzi da pesca, come certe reti, palangari e trappole,
sono rimasti come funzionamento e struttura praticamente invariati fino ad
oggi, l’unica cosa che negli ultimi anni è cambiata è stato il materiale di cui
sono costituiti; le reti utilizzate dagli antichi pescatori, infatti, erano di
fibra vegetale, motivo per cui venivano frequentemente sottoposte a particolari e lunghe
manutenzioni e, inoltre, richiedevano tempi piuttosto lunghi per asciugarsi
quando non venivano utilizzate; il materiale che costituisce le reti moderne,
invece, è materiale di sintesi ed è di gran lunga più resistente e duraturo
rispetto alla fibra vegetale, nonché anche impermeabile. Tutto ciò ha i suoi
ovvi vantaggi in termini di efficienza e gestione, tuttavia, c’è da dire che quando una
rete moderna si perde, ad esempio, a seguito di una mareggiata, rimane tanti
anni in fondo al mare senza degradarsi, continuando a catturare e uccidere inutilmente
vari organismi marini. A tali reti viene talvolta attribuito il nome di “reti
fantasma”. Oggi, quindi, utilizziamo quasi tutti materiali di sintesi, ottimi
materiali utilizzabili anche più volte e che hanno ottime capacità di
resistenza all’abrasione e alla corrosione, per non parlare dell’invisibilità
totale, o quasi, di alcuni monofili. Tutto questo senza entrare nei particolari
delle infinite gamme di minuterie previste per le numerosissime tecniche di
pesca ormai esistenti, da riva e dalla barca. Oltre ad affinare la tecnica e a
costruire attrezzi sempre più efficienti, l’uomo ha acquisito nel tempo molte
conoscenze sulla fauna ittica e marina in genere e ne ha catalogato le specie,
imparando a conoscerne le abitudini e a distinguere quelle più pregiate da
quelle che lo sono meno, quando non addirittura tossiche. Parlando di pesca
sportiva, questa, la si può suddividere in due principali grandi categorie: la pesca
in acque interne e la pesca in mare. Le esche utilizzate in acque interne, per
chiari motivi, sono solitamente diverse da quelle utilizzate nella pesca in
mare, mentre molte tecniche sono fondamentalmente identiche; infatti, diverse
tecniche adoperate per le acque interne sono state in seguito adattate per il
mare (ad esempio variando un po’ l’attrezzatura, i calamenti, ecc…) e
viceversa. Per entrambe le grandi categorie di pesca citate, esistono oggi sul
mercato numerose riviste specializzate, più o meno valide e che spesso
risultano essere ripetitive. Attrezzo
fondamentale per eccellenza della pesca sportiva è la canna, sia essa fissa o
da lancio e in quest’ultimo caso abbinata a un mulinello che, a sua volta, può
essere a bobina fissa o rotante. Le prime canne erano naturali, ricavate dai
fusti del bambù o di altre piante, in base alla località, e non prevedevano
l’uso di mulinello; erano piuttosto rudimentali e spesso poco sensibili alle
“toccate” del pesce. Oggi si hanno sul mercato attrezzi molto evoluti
costituiti da fibre di vetro e carbonio, le cosiddette telescopiche e le
ripartite di ultima generazione (costituite da carbonio ad “alto modulo”), che
permettono, nelle mani esperte del pescatore, prestazioni un tempo impensabili,
arrivando ad un compromesso tra resistenza, robustezza, elasticità e
sensibilità senza eguali. Il prezzo di alcune canne può anche superare le mille
euro, ma generalmente con due o tre centinaia di euro si prendono canne
eccellenti, abbinate a mulinelli altrettanto valenti; infatti, spesso, accanto
a prezzi esorbitanti non corrisponde materiale effettivamente o notevolmente
superiore e nella maggior parte dei casi è più una questione di mercato e
pubblicità che di qualità. Ovviamente, la canna, sebbene sia l’attrezzo
fondamentale, non è tutto e da sola non avrebbe potuto permettere mai a nessun
pescatore di catturare un solo pesce. Ad accompagnare il pescatore di oggi ci
sono tanti “attrezzi del mestiere” minori, ma essenziali, come, ad esempio, ami
di ogni dimensione e tipologia, piombi altrettanto vari, monofili, trecciati,
galleggianti di ogni grammatura, forma e colore, esche artificiali e naturali
di ogni tipo e ancora una miriade di altra “minuteria da pesca”. Sta poi
nell’abilità ed esperienza del pescatore capire come combinare al meglio il
tutto, ad esempio scegliendo il giusto “calamento”, il giusto terminale da
legare all’amo idoneo, l’esca più appropriata per insidiare la specie giusta,
ma anche scegliere il luogo e il momento giusto per farlo. Insomma, quando si
parla di pesca, sebbene il fattore “fortuna” spesso influisca sull’esito di
ogni battuta, niente è mai lasciato a caso e tutto è meticolosamente studiato.
C’è anche da dire, poi, che oggi il pesce è decisamente più scarso rispetto al
passato ed è sempre più smaliziato. La tecnica quindi si evolve di conseguenza
con ami sempre più catturanti e lenze sempre più invisibili e resistenti, che
aiutano certamente a tirare fuori dall’acqua un pesce sempre più diffidente e
infrequente. Oggi l’arte della pesca, con riferimento a quella sportiva, ha
conquistato tutti, grandi e piccoli, che vi trovano momenti di svago,
divertimento, relax e competizione. In quest’ultimo caso, esistono ormai varie
associazioni sportive che si sfidano tra loro nelle varie discipline e a vario
livello: provinciale, regionale, nazionale o mondiale. La lotta tra uomo
predatore e pesce preda si protrae ancora oggi, in un’epoca dove la preda è
vista più come una conquista sportiva piuttosto che come un gustoso e prezioso
bottino, tanto è vero che alcuni sportivi praticano il cosiddetto Catch and Release (cattura e rilascia).
In definitiva, nonostante le motivazioni diverse che spingano l’uomo ad
ingegnarsi sempre di più nell’arte della pesca, con tutte le sue tecniche e gli
attrezzi sempre più evoluti, il rito della pesca si è conservato intatto
nell’animo dell’uomo e quell’emozione che si prova dentro al momento
dell’abboccata è rimasta la stessa entusiasmante primitiva sensazione che solo un
pescatore può capire. La cattura di una preda importante, da immortalare, dopo
ore di attesa e tanti precedenti tentativi andati a vuoto (“cappotti”, per
rimanere in tema) è un qualcosa di incomparabile. Purtroppo, c’è da dire che
oggi l’uomo sta sottoponendo a uno sfruttamento eccessivo diverse popolazioni
ittiche (overfishing), ma anche
popolazioni di altri organismi marini, molte delle quali hanno già subito gravi
declini negli ultimi decenni. Allentare la pressione su queste popolazioni
consentirebbe, in tempi piuttosto brevi, la ripresa delle popolazioni stesse e
la possibilità di attuare una pesca sostenibile, che sfrutta sì la risorsa, ma
con responsabilità e permettendone un utilizzo futuro alle nuove generazioni.
Come si è detto, sebbene gli attrezzi siano rimasti sostanzialmente uguali da
tempo immemorabile, le imbarcazioni si sono molto evolute, soprattutto i
sistemi di rilevazione del pesce che vengono utilizzati a bordo e che
difficilmente portano a cale andate a vuoto. Inoltre, molte grosse imbarcazioni
possono rimanere al largo e pescare di continuo anche per diversi mesi, grazie
all’utilizzo di opportune celle frigorifere a bordo. Altre imbarcazioni,
addirittura, lavorano il pesce direttamente
a bordo e sbarcano, quindi, un prodotto pronto alla vendita. A tutto ciò si
aggiungono macchinari che permettono la cala e il recupero di reti e palangari
quasi automatica, accelerando i tempi di pesca e quindi permettendo di effettuare
un numero sempre più numeroso di cale e di gettare in mare attrezzi che si estendono
anche per qualche decina di chilometri. Altro problema riguarda quello delle
cosiddette “catture accidentali” o altrimenti note come bycatch. Tra le specie del bycatch
rientrano (in base a una delle varie definizioni date) quelle che hanno un certo valore commerciale e trovano comunque
mercato, ma rientrano anche e soprattutto specie che, non venendo consumate perché non apprezzate
o non commestibili, sono rigettate in mare come semplici rifiuti, dove sono
destinate quasi tutte a morte certa. Squali, cetacei e tartarughe marine sono
spesso vittime “non volute” di palangari e di alcuni particolari tipi di reti, come le reti a strascico.
Questi organismi, anche se non vengono venduti per il consumo o se comunque
vengono venduti fraudolentemente o illegalmente, non sono di solito graditi
alla maggior parte delle popolazioni umane moderne, che hanno cambiato
parecchio i gusti e le preferenze alimentari, anche per quanto riguarda i
prodotti della pesca e che spesso si orientano sul consumo mirato ed abituale
di pochissime specie. Altro problema è quello del “finning”, ovvero la cattura volontaria
di squali solo per ricavarne le pinne, pietanza assai gradita soprattutto nell’Oriente,
dove viene venduta a prezzi decisamente elevati. Gli squali in questione,
spesso, vengono rigettati in mare ancora agonizzanti e certamente destinati a
morire. Il problema, per queste specie, sta nel fatto che i cicli vitali sono
generalmente più lunghi rispetto a quelli dei pesci ossei (sgombri, naselli,
acciughe, sardine, etc..), l’età di riproduzione per essere raggiunta richiede
spesso parecchi anni e la prole è solitamente poco numerosa, trattandosi a
volte di uno, due o pochissimi individui. Tali popolazioni risultano quindi essere
decisamente più vulnerabili, infatti, di conseguenza a quanto detto, hanno
tempi di ripresa più lunghi, tempi che non sono affatto in armonia con i ritmi
virtuosi della pesca che oggi si ha su scala globale. Ricordiamo, inoltre, che
gli squali svolgono importanti ruoli regolatori all’interno dell’ecosistema e
questo è uno dei vari motivi per cui meritano protezione e rispetto al pari di
tutte le altre specie a noi più familiari. Continuando con questi ritmi, in tempi
brevi, diverse popolazioni di organismi marini vedranno il collasso,
popolazioni che, fino a non molto tempo fa, credevamo inesauribili…. L’ittiocoltura,
d’altro canto, pare non essere la soluzione definitiva, l’alternativa alla
pesca tradizionale, in quanto, i mangimi dati ai pesci d’allevamento, nella
stramaggioranza dei casi, sono essi stessi farine di pesce opportunamente
trattate e lavorate o comunque trattasi sempre di prodotti che includono
organismi provenienti dal mare e che, quindi, danno il loro contributo all’overfishing, ma questa è un’altra storia
…
In foto, scattata in Sicilia, un pescatore utilizza una rete da lancio, antica tecnica utilizzata anche in Paesi extramediterranei. Tale tecnica, efficace solo in acque molto basse, richiede una certa esperienza da parte del pescatore, sia nella fase di avvicinamento che in quella di lancio e recupero.