lunedì 12 agosto 2013

Pesca, dal passato a oggi: storia, arte, cultura, passione e risorsa




L’arte della pesca accompagna l’uomo fin dagli albori della sua comparsa come specie. Le antiche popolazioni e tribù, che si stabilirono sulle coste, trovarono una preziosa fonte alimentare a cui attingere, raccogliendo, ad esempio, molluschi e crostacei o pescando attivamente pesci e altri organismi marini che si presentavano con grande abbondanza e varietà di specie; inoltre, da alcune conchiglie e dalle vertebre dei pesci si ricavavano utensili vari. Anche le spugne, particolari e primitivi animali marini, venivano raccolte e lavorate per essere rese utili alla pulizia del corpo e degli ambienti domestici. Ancora oggi alcune tribù ricavano dal mare la loro principale fonte di sussistenza come, per fare qualche esempio, sull’isola di Lembata, in Indonesia, dove gruppi di pescatori si recano a caccia di squali e cetacei con le loro piccole imbarcazioni e i loro rudimentali arpioni sostenuti da un lungo e robusto fusto di bambù. Altro esempio è la pesca del “palolo” (porzione matura deputata alla riproduzione di vermi policheti appartenenti alla famiglia Eunicidae) praticata da alcune popolazioni indigene delle coste del Pacifico, che conoscono alla perfezione il periodo  e le condizioni adatte per la raccolta in mare di quest’altra preziosa fonte alimentare. Esempio eclatante che riguarda in prima persona noi italiani e in particolare calabresi e siciliani è la pesca al pesce spada, spesso definita “caccia” per la particolare tecnica in cui la preda viene ricercata, inseguita e, infine, mortalmente arpionata prima di essere issata a bordo dalle particolari e caratteristiche imbarcazioni dello Stretto di Messina, che solcano in lungo e in largo le sue acque alla ricerca del “Pisci”, ormai da tempi immemorabili. Sulle alte vedette delle grandi imbarcazioni sembrano ancora riecheggiare le antiche grida in lingua greca (si riteneva, infatti, che il Pesce spada fosse in grado di percepire la differenza tra greco e italiano e di inabissarsi, scomparendo per sempre, al solo udire di una singola parola di quest’ultima lingua) che davano fondamentali informazioni al pescatore che si trovava sulla passerella (“lanzaturi”), pronto a veder apparire sotto di se la grande sagoma del pesce e a colpirlo con un’abilità e precisione che solo anni di esperienza possono dare. Tale pesca, anche se non più fruttuosa come prima, viene ancora praticata nello Stretto e ogni equipaggio ha una precisa zona di mare assegnata, che è rimasta fondamentalmente identica a quella di qualche secolo fa. Quando l’uomo costruì i primi ami, questi erano molto rudimentali, fatti con le conchiglie più dure o con le resistenti ossa di alcuni vertebrati; non erano ricurvi come quelli di oggi e mancavano di ardiglione. Con il passare degli anni l’uomo ha affinato sempre più la tecnica, con attrezzi sempre migliori e che permettono maggiori catture, in quanto la possibilità di liberarsi del pesce è sempre più bassa. Alcuni attrezzi da pesca, come certe reti, palangari e trappole, sono rimasti come funzionamento e struttura praticamente invariati fino ad oggi, l’unica cosa che negli ultimi anni è cambiata è stato il materiale di cui sono costituiti; le reti utilizzate dagli antichi pescatori, infatti, erano di fibra vegetale, motivo per cui venivano frequentemente sottoposte a particolari e lunghe manutenzioni e, inoltre, richiedevano tempi piuttosto lunghi per asciugarsi quando non venivano utilizzate; il materiale che costituisce le reti moderne, invece, è materiale di sintesi ed è di gran lunga più resistente e duraturo rispetto alla fibra vegetale, nonché anche impermeabile. Tutto ciò ha i suoi ovvi vantaggi in termini di efficienza e gestione, tuttavia, c’è da dire che quando una rete moderna si perde, ad esempio, a seguito di una mareggiata, rimane tanti anni in fondo al mare senza degradarsi, continuando a catturare e uccidere inutilmente vari organismi marini. A tali reti viene talvolta attribuito il nome di “reti fantasma”. Oggi, quindi, utilizziamo quasi tutti materiali di sintesi, ottimi materiali utilizzabili anche più volte e che hanno ottime capacità di resistenza all’abrasione e alla corrosione, per non parlare dell’invisibilità totale, o quasi, di alcuni monofili. Tutto questo senza entrare nei particolari delle infinite gamme di minuterie previste per le numerosissime tecniche di pesca ormai esistenti, da riva e dalla barca. Oltre ad affinare la tecnica e a costruire attrezzi sempre più efficienti, l’uomo ha acquisito nel tempo molte conoscenze sulla fauna ittica e marina in genere e ne ha catalogato le specie, imparando a conoscerne le abitudini e a distinguere quelle più pregiate da quelle che lo sono meno, quando non addirittura tossiche. Parlando di pesca sportiva, questa, la si può suddividere in due principali grandi categorie: la pesca in acque interne e la pesca in mare. Le esche utilizzate in acque interne, per chiari motivi, sono solitamente diverse da quelle utilizzate nella pesca in mare, mentre molte tecniche sono fondamentalmente identiche; infatti, diverse tecniche adoperate per le acque interne sono state in seguito adattate per il mare (ad esempio variando un po’ l’attrezzatura, i calamenti, ecc…) e viceversa. Per entrambe le grandi categorie di pesca citate, esistono oggi sul mercato numerose riviste specializzate, più o meno valide e che spesso risultano essere ripetitive.  Attrezzo fondamentale per eccellenza della pesca sportiva è la canna, sia essa fissa o da lancio e in quest’ultimo caso abbinata a un mulinello che, a sua volta, può essere a bobina fissa o rotante. Le prime canne erano naturali, ricavate dai fusti del bambù o di altre piante, in base alla località, e non prevedevano l’uso di mulinello; erano piuttosto rudimentali e spesso poco sensibili alle “toccate” del pesce. Oggi si hanno sul mercato attrezzi molto evoluti costituiti da fibre di vetro e carbonio, le cosiddette telescopiche e le ripartite di ultima generazione (costituite da carbonio ad “alto modulo”), che permettono, nelle mani esperte del pescatore, prestazioni un tempo impensabili, arrivando ad un compromesso tra resistenza, robustezza, elasticità e sensibilità senza eguali. Il prezzo di alcune canne può anche superare le mille euro, ma generalmente con due o tre centinaia di euro si prendono canne eccellenti, abbinate a mulinelli altrettanto valenti; infatti, spesso, accanto a prezzi esorbitanti non corrisponde materiale effettivamente o notevolmente superiore e nella maggior parte dei casi è più una questione di mercato e pubblicità che di qualità. Ovviamente, la canna, sebbene sia l’attrezzo fondamentale, non è tutto e da sola non avrebbe potuto permettere mai a nessun pescatore di catturare un solo pesce. Ad accompagnare il pescatore di oggi ci sono tanti “attrezzi del mestiere” minori, ma essenziali, come, ad esempio, ami di ogni dimensione e tipologia, piombi altrettanto vari, monofili, trecciati, galleggianti di ogni grammatura, forma e colore, esche artificiali e naturali di ogni tipo e ancora una miriade di altra “minuteria da pesca”. Sta poi nell’abilità ed esperienza del pescatore capire come combinare al meglio il tutto, ad esempio scegliendo il giusto “calamento”, il giusto terminale da legare all’amo idoneo, l’esca più appropriata per insidiare la specie giusta, ma anche scegliere il luogo e il momento giusto per farlo. Insomma, quando si parla di pesca, sebbene il fattore “fortuna” spesso influisca sull’esito di ogni battuta, niente è mai lasciato a caso e tutto è meticolosamente studiato. C’è anche da dire, poi, che oggi il pesce è decisamente più scarso rispetto al passato ed è sempre più smaliziato. La tecnica quindi si evolve di conseguenza con ami sempre più catturanti e lenze sempre più invisibili e resistenti, che aiutano certamente a tirare fuori dall’acqua un pesce sempre più diffidente e infrequente. Oggi l’arte della pesca, con riferimento a quella sportiva, ha conquistato tutti, grandi e piccoli, che vi trovano momenti di svago, divertimento, relax e competizione. In quest’ultimo caso, esistono ormai varie associazioni sportive che si sfidano tra loro nelle varie discipline e a vario livello: provinciale, regionale, nazionale o mondiale. La lotta tra uomo predatore e pesce preda si protrae ancora oggi, in un’epoca dove la preda è vista più come una conquista sportiva piuttosto che come un gustoso e prezioso bottino, tanto è vero che alcuni sportivi praticano il cosiddetto Catch and Release (cattura e rilascia). In definitiva, nonostante le motivazioni diverse che spingano l’uomo ad ingegnarsi sempre di più nell’arte della pesca, con tutte le sue tecniche e gli attrezzi sempre più evoluti, il rito della pesca si è conservato intatto nell’animo dell’uomo e quell’emozione che si prova dentro al momento dell’abboccata è rimasta la stessa entusiasmante primitiva sensazione che solo un pescatore può capire. La cattura di una preda importante, da immortalare, dopo ore di attesa e tanti precedenti tentativi andati a vuoto (“cappotti”, per rimanere in tema) è un qualcosa di incomparabile. Purtroppo, c’è da dire che oggi l’uomo sta sottoponendo a uno sfruttamento eccessivo diverse popolazioni ittiche (overfishing), ma anche popolazioni di altri organismi marini, molte delle quali hanno già subito gravi declini negli ultimi decenni. Allentare la pressione su queste popolazioni consentirebbe, in tempi piuttosto brevi, la ripresa delle popolazioni stesse e la possibilità di attuare una pesca sostenibile, che sfrutta sì la risorsa, ma con responsabilità e permettendone un utilizzo futuro alle nuove generazioni. Come si è detto, sebbene gli attrezzi siano rimasti sostanzialmente uguali da tempo immemorabile, le imbarcazioni si sono molto evolute, soprattutto i sistemi di rilevazione del pesce che vengono utilizzati a bordo e che difficilmente portano a cale andate a vuoto. Inoltre, molte grosse imbarcazioni possono rimanere al largo e pescare di continuo anche per diversi mesi, grazie all’utilizzo di opportune celle frigorifere a bordo. Altre imbarcazioni, addirittura, lavorano il pesce  direttamente a bordo e sbarcano, quindi, un prodotto pronto alla vendita. A tutto ciò si aggiungono macchinari che permettono la cala e il recupero di reti e palangari quasi automatica, accelerando i tempi di pesca e quindi permettendo di effettuare un numero sempre più numeroso di cale e di gettare in mare attrezzi che si estendono anche per qualche decina di chilometri. Altro problema riguarda quello delle cosiddette “catture accidentali” o altrimenti note come bycatch. Tra le specie del bycatch rientrano (in base a una delle varie definizioni date) quelle che hanno un certo valore commerciale e trovano comunque mercato, ma rientrano anche e soprattutto specie che, non venendo consumate perché non apprezzate o non commestibili, sono rigettate in mare come semplici rifiuti, dove sono destinate quasi tutte a morte certa. Squali, cetacei e tartarughe marine sono spesso vittime “non volute” di palangari e di alcuni particolari tipi di reti, come le reti a strascico. Questi organismi, anche se non vengono venduti per il consumo o se comunque vengono venduti fraudolentemente o illegalmente, non sono di solito graditi alla maggior parte delle popolazioni umane moderne, che hanno cambiato parecchio i gusti e le preferenze alimentari, anche per quanto riguarda i prodotti della pesca e che spesso si orientano sul consumo mirato ed abituale di pochissime specie. Altro problema è quello del “finning”, ovvero la cattura volontaria di squali solo per ricavarne le pinne, pietanza assai gradita soprattutto nell’Oriente, dove viene venduta a prezzi decisamente elevati. Gli squali in questione, spesso, vengono rigettati in mare ancora agonizzanti e certamente destinati a morire. Il problema, per queste specie, sta nel fatto che i cicli vitali sono generalmente più lunghi rispetto a quelli dei pesci ossei (sgombri, naselli, acciughe, sardine, etc..), l’età di riproduzione per essere raggiunta richiede spesso parecchi anni e la prole è solitamente poco numerosa, trattandosi a volte di uno, due o pochissimi individui. Tali popolazioni risultano quindi essere decisamente più vulnerabili, infatti, di conseguenza a quanto detto, hanno tempi di ripresa più lunghi, tempi che non sono affatto in armonia con i ritmi virtuosi della pesca che oggi si ha su scala globale. Ricordiamo, inoltre, che gli squali svolgono importanti ruoli regolatori all’interno dell’ecosistema e questo è uno dei vari motivi per cui meritano protezione e rispetto al pari di tutte le altre specie a noi più familiari. Continuando con questi ritmi, in tempi brevi, diverse popolazioni di organismi marini vedranno il collasso, popolazioni che, fino a non molto tempo fa, credevamo inesauribili…. L’ittiocoltura, d’altro canto, pare non essere la soluzione definitiva, l’alternativa alla pesca tradizionale, in quanto, i mangimi dati ai pesci d’allevamento, nella stramaggioranza dei casi, sono essi stessi farine di pesce opportunamente trattate e lavorate o comunque trattasi sempre di prodotti che includono organismi provenienti dal mare e che, quindi, danno il loro contributo all’overfishing, ma questa è un’altra storia … 


In foto, scattata in Sicilia, un pescatore utilizza una rete da lancio, antica tecnica utilizzata anche in Paesi extramediterranei. Tale tecnica, efficace solo in acque molto basse, richiede una certa esperienza da parte del pescatore, sia nella fase di avvicinamento che in quella di lancio e recupero.

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