Oggi, più che mai, la parola biodiversità è di frequente utilizzo e forse, in alcuni casi, abuso. Basta scrivere la parola su un qualsiasi motore di ricerca e appariranno migliaia di risultati, tra definizioni varie e articoli. Sentendo questo termine, la prima cosa a cui viene da pensare è all'insieme di tutti i viventi presenti sul nostro pianeta. Quindi, in base a questa definizione, si pensa a tutte le specie esistenti (anche a quelle non ancora scoperte). Il concetto non è fondamentalmente sbagliato, però, la biodiversità, in realtà, comprende molto di più. All'interno di una stessa specie, tra i singoli individui, il materiale genetico non è mai identico (salvo rare e particolari eccezioni), perché è presente una diversità genetica. Tale diversità, costantemente soggetta a selezione naturale, porta inevitabilmente alla differenza tra popolazioni di una stessa specie e, in maniera più ovvia, tra specie diverse. Ma i viventi non si limitano a subire gli effetti dell'ambiente, sono anche in grado di modificarlo, rendendolo più adatto alle proprie esigenze di sopravvivenza. Quindi, la diversità esiste anche a livello di habitat e di ecosistemi. Un ecosistema non è infatti un semplice luogo in cui si trovano contemporaneamente più individui di specie diverse, ma tali individui interagiscono tra loro a vari livelli e contribuiscono a modificare e quindi creare l'ambiente in cui vivono. La natura tende all'equilibrio, un equilibrio dinamico, ma sempre un equilibrio, e quei soggetti che non riescono ad adattarsi ai cambiamenti, o lo fanno troppo lentamente, andranno inevitabilmente incontro alla fine della loro stessa esistenza come specie, l'estinzione, un processo naturale. Nessuna specie, però, ha mai danneggiato tutte le altre in maniera così pesante e rapida. Questo era vero fino alla comparsa di una specie assai particolare, l'uomo. Fin dalla preistoria, iniziammo a modificare irrimediabilmente l'ambiente, portando all'estinzione diverse specie. Tuttavia, il danno maggiore si sta verificando solo negli ultimi secoli e in particolare negli ultimi decenni, dove i tassi di estinzione e la distruzione degli habitat hanno ormai raggiunto livelli inaccettabili e insostenibili. Secondo i calcoli, si estingue, in media, un vertebrato per anno. Inquinamento, agricoltura estensiva, deforestazione, distruzione diretta degli habitat, sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, urbanizzazione, sono tutti processi che stanno logorando la biodiversità, in maniera sempre più profonda e irrimediabile. Grazie allo sviluppo di alcune tecniche, reso possibile dall'industrializzazione, e al conseguente avvento di tutta un'altra serie di tecnologie avanzate, l'uomo oggi raggiunge una densità di popolazione sul pianeta che è di gran lunga superiore a quella prevista per una specie delle nostre dimensioni. Siamo troppi, siamo 7 miliardi. E pensare che fino al periodo della rivoluzione industriale eravamo solo in 500 milioni. Di certo non sarà possibile sostenere ancora a lungo questo abnorme aumento demografico, qualcosa si dovrà fare o sarà lo stesso sistema naturale a fungere da regolatore. Ritornando alla biodiversità, una domanda che ci si deve chiedere è questa: ma dove è concentrata? Dove si trova la maggior parte delle specie esistenti? In linea di massima, il numero delle specie presenti aumenta con il diminuire della latitudine, questo vuol dire che più ci avviciniamo all'equatore, maggiore sarà la biodiversità. Perché? Varie sono le teorie avanzate per spiegare questo fenomeno, ma non ci dilungheremo a prenderle tutte in considerazione, per il fine di questo articolo ci è sufficiente prendere in considerazione solo alcuni punti. Senza dubbio, zone come quelle equatoriali, che ricevono una maggiore quantità di luce solare, sono favorite nell'ospitare un maggior numero di specie rispetto a zone che ricevono una minore quantità di energia da parte del sole; inoltre, essendo qui il clima e altri fattori, sia chimici che fisici, maggiormente stabili, le specie non hanno subito grandi sconvolgimenti come quelli avvenuti nelle ere glaciali e hanno avuto, quindi, tutto il tempo di evolvere e di specializzarsi, andando a occupare ogni nicchia ecologica disponibile. Con questo non sto dicendo che tutte le aree a più elevata diversità biologica si trovano nella zona equatoriale, ma sto solo dicendo che spostandosi dai poli all'equatore, in linea di massima, la diversità aumenta. I motivi principali li abbiamo spiegati. A parte l'influenza della latitudine, esistono alcune aree in cui si trovano particolari ambienti in grado di ospitare organismi che si sono adattati a vivere solo in questi tipi di habitat. Queste zone, spesso molto ristrette, sono note come centri di endemismo e si trovano sparse un po' qua e là sul nostro pianeta. Per fare qualche esempio: lago Vittoria in Africa, alcune aree costiere mediterranee, il Madagascar, la zona indonesiana, ecc... In un lavoro del 2000, pubblicato sulla rivista "Nature" da parte di Myers e collaboratori, vengono individuati 25 di questi centri, chiamati hotspots, aree della terra ad alta biodiversità. Sulla base di questo principio, considerando quindi che la biodiversità risulta essere concentrata su una superficie molto ristretta, preservando questi centri si potrebbe salvare la maggior parte della biodiversità esistente, investendo una quantità di risorse (umane e monetarie) relativamente moderata e massimizzando i risultati. A complicare le cose troviamo però il fatto che l'uomo, spesso, ha stabilito le sue abitazioni e le sue attività proprio all'interno di queste aree, influendo negativamente, sia in maniera diretta che indiretta, sulle specie presenti in questi ecosistemi particolarmente preziosi. Una soluzione potrebbero essere le "aree protette", ma queste presentano una superficie troppo poco limitata per poter davvero preservare la biodiversità e immaginare di creare aree protette di grandi dimensioni è una cosa ormai impensabile nel mondo di oggi, quando l'uomo ha ormai già profondamente trasformato, sfruttandola, gran parte delle superficie terrestre. Secondo alcuni studi, infatti, tali aree, per poter svolgere la loro funzione, dovrebbero coprire tutte assieme circa il 50% della superficie terrestre. La scienza della conservazione è una nuova disciplina che si occupa proprio di preservare le specie dall'estinzione e di mantenere in equilibrio i vari ecosistemi; tuttavia, nonostante gli sforzi che si possano compiere, se prima non si sensibilizza veramente tutta la comunità, serviranno davvero a poco tutti i suoi sforzi, per quanto ammirevoli e nobili essi possano essere. Essendo una scienza che richiede grossi interventi a livello mondiale, non può fare a meno di coinvolgere le varie nazioni e ottenere il consenso nelle scelte politiche degli Stati. La scienza della conservazione delle specie va intesa quindi come una scienza interdisciplinare, poiché per poter raggiungere i suoi fini deve comunicare con altre scienze, sia naturali che sociali. Ancora conosciamo troppo poco, sono state catalogate circa 1,8 milioni di specie e la stima di quelle esistenti è molto approssimativa, variando da 3 a 30 milioni e secondo alcuni molto più di 30 milioni. Molte di queste specie si estingueranno ancor prima di essere scoperte, motivo per cui calcolare i tassi di estinzione non è cosa semplice. Inoltre, di tanto in tanto, si sente parlare di qualche specie che è stata "riscoperta", dopo essere stata dichiarata estinta. Le specie considerate minacciate sono riportate nella "red list" della IUCN (International Union for Conservation of Nature); tuttavia, anche in questo caso, le stime e i dati sono ancora approssimativi e incompleti. Viviamo nell'era della crisi globale, dei cambiamenti e delle estinzioni, quale futuro ci attende? Agli occhi di un'ipotetica forma di vita superiore che arrivasse sulla terra dallo spazio e studiasse il nostro comportamento, non appariremmo forse come dei perfetti parassiti della terra? Quale futuro attende l'uomo, questa specie egoista che in fondo, sebbene a danno delle altre specie, esegue gli ordini dettati dai suoi stessi geni, si riproduce. Chi ci dice che un'altra specie al posto nostro non avrebbe fatto lo stesso, se non addirittura di peggio? D'altro canto, però, l'uomo è un essere pensante che non trasmette solo i geni ai suoi discendenti, ma anche cultura. Ma c'è una profonda differenza, i geni vengono trasmessi e acquisiti direttamente (e con essi la manifestazione dei vari fenotipi in base alle regole della genetica), la cultura no. Ogni volta, ogni generazione deve cominciare da zero. E' forse questo il motivo per cui non riusciamo a imparare dalla storia? E' forse per questo che con la nostra cultura e conoscenza non riusciamo ad avere la meglio sui nostri stessi geni? Sulla nostra stessa natura egoista? Perché non riusciamo a comportarci come specie razionale nonostante la nostra cultura e intelligenza? E voi che desiderate un mare più pulito, senza plastica e senza petrolio, perché? Volete davvero il bene delle altre specie? Temete per la loro vita? O forse volete semplicemente un posto pulito per sdraiarvi al sole o un'acqua non contaminata in cui fare il bagno? Voi fotografi naturalisti, perché avete così tanto a cuore il destino delle vostre specie preferite? Perché le amate davvero o per paura che qualche giorno non le troviate più a farsi fotografare dalle vostre macchine? E noi, studiosi del mare, amiamo gli organismi marini o amiamo solo studiare gli organismi marini? E voi "ambientalisti"? Temete per la salute dei vostri animali o per l'eventuale fine di un vostro centro recupero o di altre attività remunerative che, in realtà, sfruttano solamente il buon nome di queste creature? Non siete forse anche voi degli egoisti mascherati d'altruismo? E voi, "divulgatori scientifici", perché divulgate? Nella speranza di salvare la natura o di salvare voi stessi dalla noia e dalla disoccupazione? Non è che andate in cerca di fama e gli indifesi animali sono solo un vostro mezzo, un mezzo come un altro, per arrivare al successo, vero? Si potrebbe ancora scrivere quasi all'infinito, ma prima di chiudere è doveroso parlare di quelle poche "anomalie" (forse meglio senza virgolette) che amano la natura davvero. Fortunatamente esistono persone, anche se poche, che cercano di contrastare il declino in cui ci troviamo, possiamo considerarli i "regolatori del sistema", chissà...hanno forse i geni dell'altruismo? E' il sistema naturale stesso che li "controlla" su base genetica per tentare il raggiungimento dell'equilibrio?... C'è gente che riesce a guardare ben oltre il semplice fine utilitaristico che la biodiversità può avere per l'uomo e riconosce in ogni essere vivente un valore proprio, intrinseco, indipendente da ogni altro e dato dalla semplice esistenza di una qualsiasi specie come unità biologica. La cosa più giusta da dire, secondo l'autore di questo articolo, è quella di cercare di raggiungere il nostro equilibrio come specie, di rimanere nel giusto contatto con la natura, di limitare l'inquinamento, di regolare lo sfruttamento delle risorse e di fare in modo che tutte le popolazioni (umane) di questa terra possano trarne gli stessi benefici. In fondo, lo facciamo per le future generazioni, per i nostri figli e nipoti, in fondo sarebbe sempre e comunque un fine egoista: preservare l'ambiente per farlo durare il più a lungo possibile, in modo tale da permettere alle future generazioni di poterne usufruire da ogni punto di vista, di sopravvivenza o semplicemente ricreativo che sia. Ma anche in questo caso non l'avremo fatto per il bene delle altre specie, ma solo per quello della nostra, come ogni buona specie egoisticamente farebbe...
In foto i pesci trombetta (Macroramphosus scolopax), solo una delle infinite forme di vita presenti sul nostro pianeta (Foto © Francesco Turano).
In foto i pesci trombetta (Macroramphosus scolopax), solo una delle infinite forme di vita presenti sul nostro pianeta (Foto © Francesco Turano).
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