domenica 23 gennaio 2011

Il polpo imitatore


Come molti sapranno, alcuni cefalopodi, ed i polpi in particolare, sono maestri nel mimetizzarsi in una grande varietà di ambienti, riuscendo spesso a sfuggire all'occhio dei loro numerosi predatori, uomo compreso. Il mimetismo del polpo, spesso, non si basa esclusivamente su una variazione cromatica che lo rende simile all'ambiente circostante, ma l'animale modifica morfologicamente anche il proprio corpo in modo tale da rendersi il più simile possibile, ad esempio, ad uno scoglio. Tra tutti i polpi, maestri nel mimetismo (sarebbe meglio dire camuffamento), uno in particolare fa qualcosa in più che mimetizzarsi o di rendersi simile ad uno scoglio; infatti quello che viene comunemente chiamato polpo mimetico (Thaumoctopus mimicus) imita, egregiamente e in base alla situazione, alcune specie marine che risultano essere pericolose per il predatore di turno. Ad esempio, questo straordinario animale, riesce ad imitare il pericoloso serpente marino, il velenoso pesce scorpione o addirittura riesce a rendersi simile ad una sogliola, assumendone la forma e nuotando sul fondo esattamente come un pesce. Che i cefalopodi siano gli invertebrati più intelligenti è stato provato da alcuni ben noti esperimenti, riguardanti soprattutto i polpi, ma l'intelligenza del polpo mimetico, viste le straordinarie capacità, supera ogni aspettativa nel mondo degli invertebrati. L'animale, che non raggiunge eccezionali dimensioni (massimo 60 cm in lunghezza), è stato scoperto solo in tempi relativamente recenti (1998) in Indonesia. Il suo colore "di base" è a strisce marroncine scure e bianche, ma in pochi attimi, grazie a particolari tipi di cellule pigmentate chiamate cromatofori, riesce a cambiare colore assumendo le colorazioni più varie.

In foto, rappresentazione di come questo straordinario cefalopode imita una sogliola, un pesce scorpione ed un serpente marino.

Clicca qui per vedere un interessante breve filmato su questo singolare animale.


mercoledì 19 gennaio 2011

Le meduse Irukandji


In Australia, soprattutto nella regione del Queensland (nord-est del Paese), il pericolo per i bagnanti non è rappresentato esclusivamente dagli squali, ma da qualcosa di più subdolo, quasi invisibile e quindi spesso impossibile da evitare. Si tratta di una piccolissima medusa, chiamata Irukandji (nome che deriva da quello di una popolazione locale), per gli studiosi nota come Carukia barnesi, classificata nel 1967. Questo piccolissimo celenterato, ha un' ombrella che non supera le dimensioni di un' oliva, con un altezza massima quindi di 2,5 cm circa. Possiede solamente quattro tentacoli, che possono avere una lunghezza molto variabile, da pochi centimetri ad oltre mezzo metro. Caratteristica che la rende ancora più pericolosa è il suo corpo trasparente che, unito al fatto di essere di piccolissime dimensioni, la rende difficile da vedere in acqua. Come tutte le meduse, possiede delle cellule urticanti che sono però raggruppate nei tentacoli solo in alcune zone, distinguibili da una morfologia tondeggiante e biancastra; inoltre, a differenza delle altre meduse, le cellule urticanti sono presenti anche sull'ombrella dell'animale. Il mix tossico contenuto all'interno di questi particolati tipi di cellule (cnidociti) è molto pericoloso anche per l'uomo e in diversi casi ha avuto effetti letali. La tossina viene iniettata nel corpo della vittima dall'estremità di filamenti, simili a piccoli e lunghi arpioni contenuti all'interno delle cellule prima menzionate, che vengono "sparati" nell'attimo in cui avviene il contatto fisico. A differenza di molte meduse, il contatto provoca nel momento solo un lieve dolore che non fa tanto allarmare, ma dopo circa 30 minuti subentra nella vittima quella che viene definita "sindrome Irukandji" che può essere letale soprattutto se non opportunamente trattata o in soggetti particolarmente sensibili alla tossina. Dopo mezz'ora, i sintomi possono essere vari, in base al soggetto ed alla quantità di tossina iniettata, ma i più comuni sono: forte dolore diffuso pressoché a tutto il corpo, pressione che sale alle stelle, tachicardia, vomito. La morte può sopraggiungere per arresto cardiaco. In tutti i casi i sintomi durano anche per diversi giorni. Non esiste antidoto. Una cosa utile da fare, però, in caso di contatto è quella di versare immediatamente, nella parte interessata, dell'aceto che in pratica "disinnesca" le cellule urticanti che non hanno ancora dato la loro scarica. Gli studiosi stanno cercando di isolare questo mix tossico per studiare un antidoto efficace e per possibili altre applicazioni; tuttavia l'estrema fragilità del corpo di questo animale, che rimane ucciso dalla semplice collisione con i vetri di un acquario, ha complicato le cose. Uno studioso ha però recentemente trovato una valida soluzione al problema, utilizzando un acquario dalla forma circolare e generando ai lati un lieve flusso d'acqua che impedisce il contatto tra la piccola medusa e la parete stessa.

In foto un esemplare di questa medusa visto da vicino.

domenica 16 gennaio 2011

Il Persico del Nilo


Un vero e proprio gigante d'acqua dolce, il Persico del Nilo (Lates niloticus), raggiunge dimensioni impressionanti, potendo talvolta superare i 2 metri di lunghezza ed i 200 Kg di peso. Il corpo di questo pesce è massiccio, con una gibbosità dorsale piuttosto pronunciata. La bocca è molto ampia ed è caratterizzata da una mascella inferiore prominente. Presenta due pinne dorsali, due ventrali e pettorali relativamente grandi, una pinna anale in proporzione piccola ed una caudale a ventaglio situata alla fine di un robusto peduncolo caudale. La colorazione è generalmente argentea con riflessi verdastri, più scura sul dorso e chiara sulla parte ventrale dell'animale. E', ovviamente, un pesce predatore e gli adulti si nutrono prevalentemente di pesci di varie dimensioni, mentre i giovani si nutrono di insetti, crostacei, altri invertebrati e piccoli pesci. In questa specie è inoltre presente il cannibalismo, i grossi esemplari si nutrono di quelli più piccoli. Oltre che per le straordinarie dimensioni che raggiunge, questo pesce,è tristemente noto per gli squilibri a livello ecologico che ha causato dopo la sua introduzione nel lago Vittoria avvenuta qualche decennio fa. Nelle aree in cui è presente è molto importante dal punto di vista commerciale, tuttavia, le carni sembrano non essere affatto pregiate, anzi... . Date le notevolissime dimensioni, soprattutto per un pesce d'acqua dolce, è una delle prede che rappresentano il massimo per gli sportivi d'acqua dolce che si recano nelle aree in cui è presente per insidiarlo con canne ed attrezzature molto robuste, applicando diverse tecniche.

In foto, il Persico del Nilo a fianco di un uomo rende bene l'idea delle eccezionali dimensioni che può raggiungere questo pesce.

martedì 4 gennaio 2011

"Leviatano"


Come molti sapranno, il Leviatano è la biblica creatura che viveva nei mari, un mostro creato da Dio. Tale figura mistica viene fatta riemergere nel famosissimo romanzo Moby Dick, dove, a vestire i panni del mostro marino, troviamo la "balena bianca", in realtà, dalla descrizione corrispondente, si rivela essere un capodoglio. Bibbia e miti a parte, pare che una simile creatura sia davvero esistita. Si tratta di un cetaceo, quindi di un mammifero marino, oggi estinto e che dominò i mari della terra circa 13 milioni di anni fa. Le dimensioni davvero ragguardevoli, sebbene non superassino quelle dell'attualmente vivente balenottera azzurra ( l'animale vivente più grande mai esistito sulla terra), lo rendevano un formidabile predatore capace di cibarsi addirittura di altri cetacei di medie dimensioni. A renderlo un predatore così micidiale, oltre che le notevoli dimensioni, erano il possente capo, lungo circa 3 metri, che portava una bocca armata di robusti ed appuntiti denti conici di oltre 35 cm. Probabilmente era un cacciatore solitario. La lunghezza di questo possente animale si pensa potesse superare i 15 metri, più o meno quanto agli odierni capodogli, suoi lontani cugini. Il nome attribuito dagli scienziati a questa creatura degli abissi non poteva che essere Lyviatan melvillei, in onore al biblico mostro ed a Herman Melville, autore del celebre romanzo Moby Dick.

In foto, a sinistra una ricostruzione grafica di questo colosso dei mari che attacca una balena, a destra le parti fossili ritrovate del cranio dell'animale ed alcuni denti. Viene messa in evidenza la proporzione corporea tra un essere umano ed il gigantesco cranio dell'animale.